Sguardi asiatici sul mondo

A volte la vita offre lussi che scaldano il cuore. Uno di questi è quello di scoprire nuovi mondi e aver la fortuna di incrociare sguardi amici, pronti ad accoglierci e prendersi cura di noi. Occhi invitanti, profondi, variopinti, cui basta un sorriso per illuminarsi e restutuire calore umano che ha matrici ancestrali comuni. Lo si sente. Soprattutto in posti remoti come quelli a cui si riferiscono queste foto. Il centro asia è culla di diverse civiltà. Persiani, Turchi, Russi, Tartari, Mongoli e Ariani si sono mescolati per secoli dando vita a un arcobaleno di volti che addolcisce il cuore. All’interno della stessa cerchia familiare, si notano  differenze e mescolanze etniche sostanziali. La durezza della vita in questa zona del mondo che i russi chiamavano Turkestan segna profondamente la pelle e lo sguardo di queste caparbie persone che, senza conoscere il “benessere”, lottano contro il freddo, la sabbia e il vento di montagna: una natura aspra e poco clemente (in inverno, le temperature nel pamir orientale raggiungono i 50 gradi sotto lo zero) rimanendo, forse proprio per questo, decisamente umani. Un’ospitalità calorosissima che non  potremmo sognare di trovare neppure nelle nostre terre meridionali, figurarsi a latitudini più settentrionali dominate da privacy e diritto-dovere a non disturbarsi reciprocamente. Un diritto-dovere che ha portato ad un inesorabile inaridimento delle relazioni umane. Dove ognuno pensa a migliorare sempre più la propria condizione personale e si perde di interesse nell’altro. Questi occhi parlano di una società diversa. Dove regna ancora lo spirito comunitario di uomini e donne che si aiutano per aver la meglio su una madre natura particolarmente rigida; tra Siberia e Himalaya dove il calore delle persone è ancora più forte di tutto

12 commenti su “Sguardi asiatici sul mondo”

  1. Condivido il pensiero. Il vs viaggio mi ha ricordato immediatamente il clima di ospitalità sincera, di aiuto disinteressato e di robustezza delle relazioni vissute in Senegal.L’accezione stessa del termine povertà è altamente condizionata dal contesto culturale. In Senegal, ad esempio, ma in tutti i paesi in cui forte è lo spirito comunitario contrapposto all’individualismo occidentalocentrico, la parola povero è associato al concetto di orfano, di colui che è solo, privo degli affetti famigliari e non legato direttamente al ns concetto materiale di povertà. Un grazie alla bellezza della diversità del mondo e alla possibilità di ampliare le ns convinzioni!!

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  2. che visi splendidi!!! “Quando vivi in un luogo a lungo diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco.”(Josef Koudelka) 🙂

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  3. Che dire? Uno ha anche difficoltà a dire qualcosa. Il testo e/o le foto e/o il racconto di Laura e Roberto che ho avuto la fortuna di ascoltare. Cari ragazzi, grazie. Un mondo migliore c’e’. Le vostre immagini ce lo rappresentano, il vostro racconto ci fa riflettere sull’accoglienza o non accoglienza del mondo occidentale.

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  4. Prima di scoprire i confini del Turkestan (come i sovietici chiamavano queste 5 repubbliche che finiscono in -STAN) io non sapevo manco pronunciarne i nomi, figurarsi immaginare di entrare in Kirghizstan per aver scoperto la gratuità del visto via terra; sono stati tanti viaggi nello stesso: in Uzbekistan son rimasta a bocca aperta di fronte allo splendore delle città della Via della Seta tanto care a Marco Polo, che conosciamo o per le etichette dei tappeti che senza sapere teniamo in casa o per il riferimento a qualche titolo di canzone italiana: Bukhara e Samarcanda; in Tagikistan siamo entrati nel vivo dell’ospitalità persiana accettando l’invito dei nostri amici tagiki in Pamir occidentale, dove abbiamo scoperto i popoli della regione del Gorno Badakhshan, e le difficoltà oggettive nel vivere ad alta quota senza acqua in casa, però nel totale rispetto con la Natura e con il misticismo ismaelita; montagne esagerate ci hanno accompaganto per settimane, prima rocciose, poi altopiani senza alberi, e così siamo saliti oltre i 4000 metri in paesaggi lunari dove il respiro si rarefaceva insieme all’ossigeno, gli occhi delle persone diventavano sempre più a mandorla e per il palato tanto yogurt di yak e tazze di tè. E’ proprio il rito del tè che ben rappresenta la calma e l’essenzialità della vita a queste latitudini: ripensando alle foglie del chay, in cui molti asiatici perfino leggono il futuro, il contrasto rispetto alla compulsività delle nostre esistenze di occidentali è davvero forte: qui trangugiandolo da in piedi, invece di sedersi per terra a chiacchierare a mimi e gesti con due pastori di lingua Pamiri nel mezzo delle terre di Nessuno centrasiatiche e alle loro caprette…..di fronte all’ennesima ciotola di acqua bollente. L’umanità che traspare da questo tipo di incontro è più arricchente di qualsiasi altra forma di gratificazione materiale.

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