“Le Chemin, Personne ne peut savoir ce qu’il renferme, ce mot prestigieux, s’il n’a pris le bourdon en main pour le suivre, le vivre,….le chemin!”
Davvero, come suggerisce questo detto, neppur io potevo immaginarmi il mio primo Cammino, se non impugnando un bastone per seguirlo, per vivermelo…
Il mio primo viaggio “lento” dura 125 km, tocca il cuore del Parco Naturale del Quercy: Figeac , La Capelle, Thémines, Gramat, Rocamadour, Le Vigan, Salviac, Frayssenet, lungo la variante della Grande Route 6 , in realtà conosciuta come l’antica via, verso Saint Jacques.
Per una settimana ho preso contatto con l’ambiente esterno, e scelto di restare alle prese coi miei acciacchi da acido lattico, contratture, vesciche e oscillazioni dell’animo, di scendere a patti con i miei limiti fisici ed i miei bisogni primari. A volte ci si dimentica di quanto la Natura sia più potente di noi, ma Maestra di significati e simbologie. Inevitabilmente ci riporta alla piccolezza di umani, ci insegna i vantaggi della fatica. Camminando per ore con in groppa lo zaino contrassegnato dall’inconfondibile conchiglia (segno di riconoscimento nel codice dei pellegrini), la mente recupera quella lentezza che le permette di respirare pur nello stoicismo, di ricercare piccoli- grandi obiettivi nel qui e ora, di automotivarsi e infine di abbassare le aspettative, in genere causa di stress.
Molte motivazioni spingono a intraprendere un pellegrinaggio a piedi. Per molti diventa un viaggio religioso, spirituale in genere. Nei gite (rifugi) si incontrano spesso suore e preti ganzissimi a timbrare l’ennesima tappa sulla credenziale ( una specie dl passaporto del pellegrino che si richiede anche via mail prima di partire oppure sul posto presso l’Ufficio del Turismo di Figeac o a Le Puy en Velais).
Per un’agnostica come me, invece, è stata un’esperienza fisica e introspettiva, stimolata da chi, di Cammini, era già appassionata. Si riflette tanto in mezzo agli alberi, a volte perdendosi, più volte non si scorge il simbolo rosso e bianco per imboccare il sentiero di terra giusto; poi si ritrova la direzione, sotto la pioggia dopo una grandinata notturna o con il sole, supine in campi di grano, fotografando papaveri, balle di fieno, ciliegi, ruderi di antichi mulini, mucche, cavalli e caprioli selvatici, pecore, cani randagi, gatti guardinghi, contadini cui chiedere un po’ d’acqua per placare la sete. La musica nelle orecchie è fondamentale per tenere a bada gli umori e le difficoltà della giornata ed è ottima compagna del mio zigzagare tra i pensieri e tra una sosta e l’altra.
E la sera arrivano le gratificazioni, al gusto di galette au sarasin e sidro di mele, che di giorno sembravano lontani miraggi….
Bon courage!